deamicisarchitetti immagina un museo dove è lo spazio espositivo a muoversi.
Tutto lo spazio è lo spazio del museo. Ed esso, definito solo dall’architettura preesistente, è il protagonista assoluto. Senza gerarchie, senza percorsi, senza scale, senza stanze, senza muri, senza direzionalità, senza volontà di stile.
Liberata da ogni divisione interna la struttura preesistente è valorizzata nella sua tipologia edilizia, in quanto si ritiene che il suo valore risieda non tanto nel manufatto edilizio ma proprio nel suo carattere tipologico. Conseguentemente non è stata operata alcuna aggiunta volumetrica proprio per non compromettere o sbilanciare la sua bellezza.
I pavimenti delle aree espositive sono in seminato alla veneziana, al fine di rendere prezioso il suolo con un materiale senza trama e senza tempo, gli altri in sanpietrini così da evidenziare l’appartenenza del Museo alla città.
LA CITTÀ POROSA
Il progetto cerca di dare una risposta letterale e senza mediazioni alla volontà ben esplicitata nel bando di costruire un tessuto poroso.
I varchi nella cortina edilizia su Via Reni a nord, e il fronte della navata centrale dell’edificio esistente che affaccia sulla piazza di nuova formazione a ovest, non sono intesi come ingressi ad un edificio, ma le soglie che dividono alcuni spazi pubblici (la strada e la piazza) da altri (la corte coperta). La città porosa prende quindi forma a partire dall’affiancamento e dal concatenamento di tipologie di spazi urbani semplici, ben definiti e riconoscibili.
deamicisarchitetti immagina un museo dove è lo spazio espositivo a muoversi.
Tutto lo spazio è lo spazio del museo. Ed esso, definito solo dall’architettura preesistente, è il protagonista assoluto. Senza gerarchie, senza percorsi, senza scale, senza stanze, senza muri, senza direzionalità, senza volontà di stile.
Liberata da ogni divisione interna la struttura preesistente è valorizzata nella sua tipologia edilizia, in quanto si ritiene che il suo valore risieda non tanto nel manufatto edilizio ma proprio nel suo carattere tipologico. Conseguentemente non è stata operata alcuna aggiunta volumetrica proprio per non compromettere o sbilanciare la sua bellezza.
I pavimenti delle aree espositive sono in seminato alla veneziana, al fine di rendere prezioso il suolo con un materiale senza trama e senza tempo, gli altri in sanpietrini così da evidenziare l’appartenenza del Museo alla città.
LA CITTÀ POROSA
Il progetto cerca di dare una risposta letterale e senza mediazioni alla volontà ben esplicitata nel bando di costruire un tessuto poroso.
I varchi nella cortina edilizia su Via Reni a nord, e il fronte della navata centrale dell’edificio esistente che affaccia sulla piazza di nuova formazione a ovest, non sono intesi come ingressi ad un edificio, ma le soglie che dividono alcuni spazi pubblici (la strada e la piazza) da altri (la corte coperta). La città porosa prende quindi forma a partire dall’affiancamento e dal concatenamento di tipologie di spazi urbani semplici, ben definiti e riconoscibili.
deamicisarchitetti immagina un museo dove è lo spazio espositivo a muoversi.
Tutto lo spazio è lo spazio del museo. Ed esso, definito solo dall’architettura preesistente, è il protagonista assoluto. Senza gerarchie, senza percorsi, senza scale, senza stanze, senza muri, senza direzionalità, senza volontà di stile.
Liberata da ogni divisione interna la struttura preesistente è valorizzata nella sua tipologia edilizia, in quanto si ritiene che il suo valore risieda non tanto nel manufatto edilizio ma proprio nel suo carattere tipologico. Conseguentemente non è stata operata alcuna aggiunta volumetrica proprio per non compromettere o sbilanciare la sua bellezza.
I pavimenti delle aree espositive sono in seminato alla veneziana, al fine di rendere prezioso il suolo con un materiale senza trama e senza tempo, gli altri in sanpietrini così da evidenziare l’appartenenza del Museo alla città.
LA CITTÀ POROSA
Il progetto cerca di dare una risposta letterale e senza mediazioni alla volontà ben esplicitata nel bando di costruire un tessuto poroso.
I varchi nella cortina edilizia su Via Reni a nord, e il fronte della navata centrale dell’edificio esistente che affaccia sulla piazza di nuova formazione a ovest, non sono intesi come ingressi ad un edificio, ma le soglie che dividono alcuni spazi pubblici (la strada e la piazza) da altri (la corte coperta). La città porosa prende quindi forma a partire dall’affiancamento e dal concatenamento di tipologie di spazi urbani semplici, ben definiti e riconoscibili.
deamicisarchitetti immagina un museo dove è lo spazio espositivo a muoversi.
Tutto lo spazio è lo spazio del museo. Ed esso, definito solo dall’architettura preesistente, è il protagonista assoluto. Senza gerarchie, senza percorsi, senza scale, senza stanze, senza muri, senza direzionalità, senza volontà di stile.
Liberata da ogni divisione interna la struttura preesistente è valorizzata nella sua tipologia edilizia, in quanto si ritiene che il suo valore risieda non tanto nel manufatto edilizio ma proprio nel suo carattere tipologico. Conseguentemente non è stata operata alcuna aggiunta volumetrica proprio per non compromettere o sbilanciare la sua bellezza.
I pavimenti delle aree espositive sono in seminato alla veneziana, al fine di rendere prezioso il suolo con un materiale senza trama e senza tempo, gli altri in sanpietrini così da evidenziare l’appartenenza del Museo alla città.
LA CITTÀ POROSA
Il progetto cerca di dare una risposta letterale e senza mediazioni alla volontà ben esplicitata nel bando di costruire un tessuto poroso.
I varchi nella cortina edilizia su Via Reni a nord, e il fronte della navata centrale dell’edificio esistente che affaccia sulla piazza di nuova formazione a ovest, non sono intesi come ingressi ad un edificio, ma le soglie che dividono alcuni spazi pubblici (la strada e la piazza) da altri (la corte coperta). La città porosa prende quindi forma a partire dall’affiancamento e dal concatenamento di tipologie di spazi urbani semplici, ben definiti e riconoscibili.
deamicisarchitetti immagina un museo dove è lo spazio espositivo a muoversi.
Tutto lo spazio è lo spazio del museo. Ed esso, definito solo dall’architettura preesistente, è il protagonista assoluto. Senza gerarchie, senza percorsi, senza scale, senza stanze, senza muri, senza direzionalità, senza volontà di stile.
Liberata da ogni divisione interna la struttura preesistente è valorizzata nella sua tipologia edilizia, in quanto si ritiene che il suo valore risieda non tanto nel manufatto edilizio ma proprio nel suo carattere tipologico. Conseguentemente non è stata operata alcuna aggiunta volumetrica proprio per non compromettere o sbilanciare la sua bellezza.
I pavimenti delle aree espositive sono in seminato alla veneziana, al fine di rendere prezioso il suolo con un materiale senza trama e senza tempo, gli altri in sanpietrini così da evidenziare l’appartenenza del Museo alla città.
LA CITTÀ POROSA
Il progetto cerca di dare una risposta letterale e senza mediazioni alla volontà ben esplicitata nel bando di costruire un tessuto poroso.
I varchi nella cortina edilizia su Via Reni a nord, e il fronte della navata centrale dell’edificio esistente che affaccia sulla piazza di nuova formazione a ovest, non sono intesi come ingressi ad un edificio, ma le soglie che dividono alcuni spazi pubblici (la strada e la piazza) da altri (la corte coperta). La città porosa prende quindi forma a partire dall’affiancamento e dal concatenamento di tipologie di spazi urbani semplici, ben definiti e riconoscibili.
deamicisarchitetti immagina un museo dove è lo spazio espositivo a muoversi.
Tutto lo spazio è lo spazio del museo. Ed esso, definito solo dall’architettura preesistente, è il protagonista assoluto. Senza gerarchie, senza percorsi, senza scale, senza stanze, senza muri, senza direzionalità, senza volontà di stile.
Liberata da ogni divisione interna la struttura preesistente è valorizzata nella sua tipologia edilizia, in quanto si ritiene che il suo valore risieda non tanto nel manufatto edilizio ma proprio nel suo carattere tipologico. Conseguentemente non è stata operata alcuna aggiunta volumetrica proprio per non compromettere o sbilanciare la sua bellezza.
I pavimenti delle aree espositive sono in seminato alla veneziana, al fine di rendere prezioso il suolo con un materiale senza trama e senza tempo, gli altri in sanpietrini così da evidenziare l’appartenenza del Museo alla città.
LA CITTÀ POROSA
Il progetto cerca di dare una risposta letterale e senza mediazioni alla volontà ben esplicitata nel bando di costruire un tessuto poroso.
I varchi nella cortina edilizia su Via Reni a nord, e il fronte della navata centrale dell’edificio esistente che affaccia sulla piazza di nuova formazione a ovest, non sono intesi come ingressi ad un edificio, ma le soglie che dividono alcuni spazi pubblici (la strada e la piazza) da altri (la corte coperta). La città porosa prende quindi forma a partire dall’affiancamento e dal concatenamento di tipologie di spazi urbani semplici, ben definiti e riconoscibili.
deamicisarchitetti immagina un museo dove è lo spazio espositivo a muoversi.
Tutto lo spazio è lo spazio del museo. Ed esso, definito solo dall’architettura preesistente, è il protagonista assoluto. Senza gerarchie, senza percorsi, senza scale, senza stanze, senza muri, senza direzionalità, senza volontà di stile.
Liberata da ogni divisione interna la struttura preesistente è valorizzata nella sua tipologia edilizia, in quanto si ritiene che il suo valore risieda non tanto nel manufatto edilizio ma proprio nel suo carattere tipologico. Conseguentemente non è stata operata alcuna aggiunta volumetrica proprio per non compromettere o sbilanciare la sua bellezza.
I pavimenti delle aree espositive sono in seminato alla veneziana, al fine di rendere prezioso il suolo con un materiale senza trama e senza tempo, gli altri in sanpietrini così da evidenziare l’appartenenza del Museo alla città.
LA CITTÀ POROSA
Il progetto cerca di dare una risposta letterale e senza mediazioni alla volontà ben esplicitata nel bando di costruire un tessuto poroso.
I varchi nella cortina edilizia su Via Reni a nord, e il fronte della navata centrale dell’edificio esistente che affaccia sulla piazza di nuova formazione a ovest, non sono intesi come ingressi ad un edificio, ma le soglie che dividono alcuni spazi pubblici (la strada e la piazza) da altri (la corte coperta). La città porosa prende quindi forma a partire dall’affiancamento e dal concatenamento di tipologie di spazi urbani semplici, ben definiti e riconoscibili.
deamicisarchitetti immagina un museo dove è lo spazio espositivo a muoversi.
Tutto lo spazio è lo spazio del museo. Ed esso, definito solo dall’architettura preesistente, è il protagonista assoluto. Senza gerarchie, senza percorsi, senza scale, senza stanze, senza muri, senza direzionalità, senza volontà di stile.
Liberata da ogni divisione interna la struttura preesistente è valorizzata nella sua tipologia edilizia, in quanto si ritiene che il suo valore risieda non tanto nel manufatto edilizio ma proprio nel suo carattere tipologico. Conseguentemente non è stata operata alcuna aggiunta volumetrica proprio per non compromettere o sbilanciare la sua bellezza.
I pavimenti delle aree espositive sono in seminato alla veneziana, al fine di rendere prezioso il suolo con un materiale senza trama e senza tempo, gli altri in sanpietrini così da evidenziare l’appartenenza del Museo alla città.
LA CITTÀ POROSA
Il progetto cerca di dare una risposta letterale e senza mediazioni alla volontà ben esplicitata nel bando di costruire un tessuto poroso.
I varchi nella cortina edilizia su Via Reni a nord, e il fronte della navata centrale dell’edificio esistente che affaccia sulla piazza di nuova formazione a ovest, non sono intesi come ingressi ad un edificio, ma le soglie che dividono alcuni spazi pubblici (la strada e la piazza) da altri (la corte coperta). La città porosa prende quindi forma a partire dall’affiancamento e dal concatenamento di tipologie di spazi urbani semplici, ben definiti e riconoscibili.
deamicisarchitetti immagina un museo dove è lo spazio espositivo a muoversi.
Tutto lo spazio è lo spazio del museo. Ed esso, definito solo dall’architettura preesistente, è il protagonista assoluto. Senza gerarchie, senza percorsi, senza scale, senza stanze, senza muri, senza direzionalità, senza volontà di stile.
Liberata da ogni divisione interna la struttura preesistente è valorizzata nella sua tipologia edilizia, in quanto si ritiene che il suo valore risieda non tanto nel manufatto edilizio ma proprio nel suo carattere tipologico. Conseguentemente non è stata operata alcuna aggiunta volumetrica proprio per non compromettere o sbilanciare la sua bellezza.
I pavimenti delle aree espositive sono in seminato alla veneziana, al fine di rendere prezioso il suolo con un materiale senza trama e senza tempo, gli altri in sanpietrini così da evidenziare l’appartenenza del Museo alla città.
LA CITTÀ POROSA
Il progetto cerca di dare una risposta letterale e senza mediazioni alla volontà ben esplicitata nel bando di costruire un tessuto poroso.
I varchi nella cortina edilizia su Via Reni a nord, e il fronte della navata centrale dell’edificio esistente che affaccia sulla piazza di nuova formazione a ovest, non sono intesi come ingressi ad un edificio, ma le soglie che dividono alcuni spazi pubblici (la strada e la piazza) da altri (la corte coperta). La città porosa prende quindi forma a partire dall’affiancamento e dal concatenamento di tipologie di spazi urbani semplici, ben definiti e riconoscibili.
UN UNICO PIANO LIBERO
Il progetto per il nuovo Museo della Scienza di Roma si focalizza sulla definizione di uno spazio museale a pianta libera, attivabile e articolabile a piacimento. Tuttavia, i mq totali previsti dalla proposta sono maggiori dell’impronta a terra. L’ibridazione delle funzioni non espositive (il foyer si fonde con gli altri spazi) e la duplicazione di parte degli spazi espositivi (nello specifico quelli dedicati alle esposizioni temporanee) su due livelli ci consente di soddisfare il fabbisogno.
Ma non saranno gli utenti a superare livelli, sarà lo spazio espositivo a muoversi (nello specifico tre grandi piattaforme), introducendo un importante contenuto di scoperta, innovazione tecnologica e flessibilità.
Il Museo è quindi inteso non come percorso conoscitivo predefinito ma come laboratorio con cui interagire secondo traiettorie personali o tramite ordinamenti e allestimenti specifici, dal più libero al più complesso. Le piattaforme mobili in tal senso consentono molti altri scenari, tra i quali anche l’affiancamento delle mostre temporanee con quelle permanenti. E il “backstage” del piano interrato, come fosse una macchina teatrale, permette di dare origine in continuazione alla variazione del programma espositivo.
IL RESPIRO DEL MUSEO
Il progetto suggerisce (e consente) di inserire il concetto di tempo nel programma espositivo: il Tempo storico per la contemporanea e antigerarchica possibilità di abitare il palcoscenico espositivo contemporaneamente, e il Tempo ciclico per la possibilità di ruotare l’offerta espositiva secondo temporalità prestabilite: orarie, giornaliere o casuali.
Questa flessibilità del tempo, che si aggiunge a quella dell’uso degli spazi liberi, consentirà agli ordinatori non solo qualsiasi narrazione, ma anche di costruire un “ritmo” espositivo, come fosse il respiro del museo. Una macchina viva quindi, che partecipa alla vita della città.
PRINCIPI ENERGETICI
L’approccio alla sostenibilità, basato su criteri ESG, intende superare la dicotomia tra “dentro” e “fuori”, introducendo il concetto dello spazio “buffer”, vale a dire una condizione intermedia capace di mediare (nella doppia accezione climatica e sociale) le differenze tra gli spazi attraverso l’uso di soluzioni flessibili (tende o lame d’aria).
In questo contesto l’abbinamento della ventilazione naturale con le masse inerziali del perimetro e dei pavimenti è l’elemento che risolve il controllo del surriscaldamento estivo senza porre cesure tra interno ed esterno (come avviene oggi negli spazi climatizzati artificialmente) e reintroduce gli spazi esterni nella sfera della fruizione percettiva degli abitanti di questo nuovo luogo.
UN UNICO PIANO LIBERO
Il progetto per il nuovo Museo della Scienza di Roma si focalizza sulla definizione di uno spazio museale a pianta libera, attivabile e articolabile a piacimento. Tuttavia, i mq totali previsti dalla proposta sono maggiori dell’impronta a terra. L’ibridazione delle funzioni non espositive (il foyer si fonde con gli altri spazi) e la duplicazione di parte degli spazi espositivi (nello specifico quelli dedicati alle esposizioni temporanee) su due livelli ci consente di soddisfare il fabbisogno.
Ma non saranno gli utenti a superare livelli, sarà lo spazio espositivo a muoversi (nello specifico tre grandi piattaforme), introducendo un importante contenuto di scoperta, innovazione tecnologica e flessibilità.
Il Museo è quindi inteso non come percorso conoscitivo predefinito ma come laboratorio con cui interagire secondo traiettorie personali o tramite ordinamenti e allestimenti specifici, dal più libero al più complesso. Le piattaforme mobili in tal senso consentono molti altri scenari, tra i quali anche l’affiancamento delle mostre temporanee con quelle permanenti. E il “backstage” del piano interrato, come fosse una macchina teatrale, permette di dare origine in continuazione alla variazione del programma espositivo.
IL RESPIRO DEL MUSEO
Il progetto suggerisce (e consente) di inserire il concetto di tempo nel programma espositivo: il Tempo storico per la contemporanea e antigerarchica possibilità di abitare il palcoscenico espositivo contemporaneamente, e il Tempo ciclico per la possibilità di ruotare l’offerta espositiva secondo temporalità prestabilite: orarie, giornaliere o casuali.
Questa flessibilità del tempo, che si aggiunge a quella dell’uso degli spazi liberi, consentirà agli ordinatori non solo qualsiasi narrazione, ma anche di costruire un “ritmo” espositivo, come fosse il respiro del museo. Una macchina viva quindi, che partecipa alla vita della città.
PRINCIPI ENERGETICI
L’approccio alla sostenibilità, basato su criteri ESG, intende superare la dicotomia tra “dentro” e “fuori”, introducendo il concetto dello spazio “buffer”, vale a dire una condizione intermedia capace di mediare (nella doppia accezione climatica e sociale) le differenze tra gli spazi attraverso l’uso di soluzioni flessibili (tende o lame d’aria).
In questo contesto l’abbinamento della ventilazione naturale con le masse inerziali del perimetro e dei pavimenti è l’elemento che risolve il controllo del surriscaldamento estivo senza porre cesure tra interno ed esterno (come avviene oggi negli spazi climatizzati artificialmente) e reintroduce gli spazi esterni nella sfera della fruizione percettiva degli abitanti di questo nuovo luogo.
UN UNICO PIANO LIBERO
Il progetto per il nuovo Museo della Scienza di Roma si focalizza sulla definizione di uno spazio museale a pianta libera, attivabile e articolabile a piacimento. Tuttavia, i mq totali previsti dalla proposta sono maggiori dell’impronta a terra. L’ibridazione delle funzioni non espositive (il foyer si fonde con gli altri spazi) e la duplicazione di parte degli spazi espositivi (nello specifico quelli dedicati alle esposizioni temporanee) su due livelli ci consente di soddisfare il fabbisogno.
Ma non saranno gli utenti a superare livelli, sarà lo spazio espositivo a muoversi (nello specifico tre grandi piattaforme), introducendo un importante contenuto di scoperta, innovazione tecnologica e flessibilità.
Il Museo è quindi inteso non come percorso conoscitivo predefinito ma come laboratorio con cui interagire secondo traiettorie personali o tramite ordinamenti e allestimenti specifici, dal più libero al più complesso. Le piattaforme mobili in tal senso consentono molti altri scenari, tra i quali anche l’affiancamento delle mostre temporanee con quelle permanenti. E il “backstage” del piano interrato, come fosse una macchina teatrale, permette di dare origine in continuazione alla variazione del programma espositivo.
IL RESPIRO DEL MUSEO
Il progetto suggerisce (e consente) di inserire il concetto di tempo nel programma espositivo: il Tempo storico per la contemporanea e antigerarchica possibilità di abitare il palcoscenico espositivo contemporaneamente, e il Tempo ciclico per la possibilità di ruotare l’offerta espositiva secondo temporalità prestabilite: orarie, giornaliere o casuali.
Questa flessibilità del tempo, che si aggiunge a quella dell’uso degli spazi liberi, consentirà agli ordinatori non solo qualsiasi narrazione, ma anche di costruire un “ritmo” espositivo, come fosse il respiro del museo. Una macchina viva quindi, che partecipa alla vita della città.
PRINCIPI ENERGETICI
L’approccio alla sostenibilità, basato su criteri ESG, intende superare la dicotomia tra “dentro” e “fuori”, introducendo il concetto dello spazio “buffer”, vale a dire una condizione intermedia capace di mediare (nella doppia accezione climatica e sociale) le differenze tra gli spazi attraverso l’uso di soluzioni flessibili (tende o lame d’aria).
In questo contesto l’abbinamento della ventilazione naturale con le masse inerziali del perimetro e dei pavimenti è l’elemento che risolve il controllo del surriscaldamento estivo senza porre cesure tra interno ed esterno (come avviene oggi negli spazi climatizzati artificialmente) e reintroduce gli spazi esterni nella sfera della fruizione percettiva degli abitanti di questo nuovo luogo.
Luogo:
Roma
Anno concorso:
2022
Superficie espositiva piano terra:
5.000 mq
Superficie espositiva piattaforme mobili:
1.000 + 1.000 mq
Superficie espositiva piano interrato:
1.000 mq
Luogo:
Roma
Anno concorso:
2022
Superficie espositiva piano terra:
5.000 mq
Superficie espositiva piattaforme mobili:
1.000 + 1.000 mq
Superficie espositiva piano interrato:
1.000 mq
Luogo:
Roma
Anno concorso:
2022
Superficie espositiva piano terra:
5.000 mq
Superficie espositiva piattaforme mobili:
1.000 + 1.000 mq
Superficie espositiva piano interrato:
1.000 mq
Concorso indetto da: Assessorato all’Urbanistica di Roma Capitale
Committente: Comune Roma Capitale
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